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Odissea

by Galeazzo_45


Odissea

di Galeazzo

Capitolo I. Il banchetto degli Dei.

Ci fu un tempo in cui, copiando dagli esseri umani anche gli dei e semidei dell’Olimpo presero l’abitudine di prendere in affidamento un giovinetto, allo scopo di educarlo e di insegnargli le virtù di coraggio e saggezza che lo avrebbero fatto diventare un uomo ideale. Ovviamente l’educazione comportava un contatto fisico totale tra i due, cosa a cui gli dei si prestavano con grande dedizione, nonostante le lamentele iniziale dei discepoli, che, soprattutto a causa della sproporzione delle parti che dovevano venire in contatto, all’inizio erano piuttosto recalcitranti, ma poi si adattavano con molto piacere al ruolo passivo che la parte imponeva loro. Quella sera all’Olimpo si celebrava una grande festa, dovuta sia al ritorno di Ercole da una delle sue proverbiali e celebri fatiche, sia per il fatto che il muscoloso eroe si presentava con al fianco il giovane Ila, rapito in Asia minore allo scopo di farlo diventare suo servitore ed amasio. Il nostro eroe si presentava in tutta la sua magnifica imponenza, con un mantello gettato sulle spalle che lasciava scoperto l’immenso torace ricoperto da una fittissima selva di peli neri, le braccia scoperte dai bicipiti grossi come meloni e solcate da un intrico di vene bluastre in rilievo; il grosso pacco che si ergeva tra le cosce muscolosissime e villose sembrava trattenere a stento l’incredibile contenuto delle parti maschili. Una cosa che infatti non molti sapevano era che oltre alla smisurata forza fisica, Ercole non era da meno in quella del vigore virile: si narrava che, oltre alle ben note fatiche, l’eroe avesse deflorato in una notte le 12 vergini di un tempio dedicato ad Artemide e avesse iniziato al piacere i 6 figli maschi del re Piritoo, non appena sconfitto, e proprio sotto gli occhi del padre. Come di consueto nei pranzi di quel tempo, gli uomini stavano tra di loro con i loro giovani amanti, capeggiati da Zeus che non finiva mai di coccolare Ganimede, mentre le donne, con a capo la sdegnosa e giunonica Era, quasi ignoravano i consorti occupate in un continuo chiacchiericcio. Tra gli dei maschi, dopo le abbondanti libagioni, i discorsi diventavano sempre più lascivi: ad esempio quella sera l’argomento era caduto sulle dimensioni dell’organo virile e su quali fossero le misure ideali per soddisfare le donne da un lato e i giovani discepoli dall’altro. Come esperto in materia era stato fatto venire il famoso indovino Tiresia, che per una orrenda punizione era stato prima donna e poi uomo. Tiresia aveva confermato l’opinione corrente che delle dieci parti del piacere, 9 spettavano a chi subiva e una sola a chi agiva; quanto alle dimensioni, sparò delle cifre talmente inusitate da suscitare le proteste di quasi tutti i maschi presenti. Il solo Ercole rideva sotto i baffi, dal momento che si sentiva molto superiore a quelle misure, e si passò voluttuosamente la grossa mano sul perizoma, già pregustando il resto della serata, non senza essere osservato con interesse dai giovinetti presenti, primo fra essi Ila. Ad un tratto si sentì un trambusto e irruppe in sala Dioniso, vestito con la pelle di un leone, inseguito da una specie di mostriciattolo del tutto nudo, ma con un membro così poderoso che gli astanti non poterono trattenersi dal ridere: si trattava del famoso Priapo, che arrapatissimo inseguiva il giovane Dioniso, con chiari intendimenti lascivi. “Te lo do io il cazzo del pastore, urlava Priapo, vieni qui giovane troia!. Priapo si riferiva al fatto che Dioniso si era invaghito di un aitante pastore dell’Arcadia e quando questi era morto in una scaramuccia con una tribù rivale, Dioniso si era autoimpalato su un rozzo fallo di legno di fico, pensando di poter così sopperire alla nerchia del pastore che tanto gli mancava. Tra le risate degli astanti i due uscirono di scena e incominciò il gioco del cottabo, in cui gli uomini lanciavano dalla loro coppa alcune gocce di vino nella coppa del giovane che volevano conquistare, e se il giovane beveva , dava un segno della sua disponibilità a passare la notte con il focoso amante. Ormai era giunto il momento di appartarsi, e a un cenno di Zeus che si allontanò con Ganimede, anche Ercole prese sotto braccio Ila e lo portò all’alcova. Qui, senza molti preliminari il muscoloso eroe si tolse il perizoma, mostrandosi in tutta la sua gloria al giovane che doveva soddisfare le sue voglie: Ila rimase semplicemente sbalordito nel vedere l’enorme strumento, già quasi completamente eretto, che svettava da una selva di peli neri, meraviglioso completamento del poderoso fisico di Ercole. Vedendo l’aria estatica di Ila, Ercole rise, e mentre se lo accarezzava, rendendolo ancora più grosso e rigido disse: Cosa c’è, non hai mai visto un cazzo vero? Questo è il cazzo che sarà il tuo maestro e padrone, e per il quale sei stato rapito: dovrai soddisfarlo sempre, in ogni momento del giorno e della notte, tutte le volte che ne avrà voglia. Guardalo bene perché già da stasera lo dovrai prendere tutto, fino ai coglioni, e ti riempirà il culo di sborra calda incandescente. Ila era eccitato, ma anche sconvolto dal sentire l’eroe che si esprimeva con quei termini, che pensava propri solo dei rozzi pastori con era vissuto fino ad allora. In effetti, una volta aveva sorpreso suo padre che se lo faceva succhiare da un suo coetaneo, e che usava proprio gli stessi termini che aveva sentito sulla bocca di Ercole. Avanti bacialo, disse l’Eroe, prendendo per le spalle Ila e avvicinandogli il viso all’enorme cappella che già mostrava una grossa goccia cristallina che usciva dal grande meato. Ila, un po’ riluttante prese con una mano l’asta, senza riuscire a chiudere il pugno, mentre con l’altra palpava i coglioni pelosi grossi come meloni. Ercole brutalmente lo prese per i capelli e gli avvicinò la bocca al gran cazzo eretto, costringendolo a baciarlo e a sentirne il forte odore di maschio che emanava. Poi sempre con brutalità, gli impose di mettersi a carponi su uno sgabello, e di alzare il culo: Ila tremava dall’emozione e dalla paura di essere squarciato dall’enorme arnese dell’Eroe, e quando sentì che Ercole, dopo aver pennellato per qualche momento il solco tra le chiappe, puntava decisamente al buchetto, si sentì perduto. Ma le cose non andarono per il verso giusto, data la sproporzione dell’organo virile con l’oggetto da penetrare. Ercole spingeva e incitava il ragazzo a rilassarsi, aprendo di più il buco al mostro invasore, e inveiva, bestemmiando il padre Zeus con tutti gli epiteti più volgari che Ila avesse mai sentito. Alla fine Ercole, spazientito, disse, va bene, verginello, non ti vuoi aprire a papà eh, adesso ti mando a lezione dal mio amico, il centauro Chirone e vedrai che quando torni le cose andranno diversamente. E chiamato di nuovo il padre Zeus, lo pregò di trasformarsi ancora una volta in aquila e trasportare il giovinetto nell’isola di Cos.

Galeazzo45@katamail.com

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