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Il Centro, Parte 2

by Mr.lyle


I giorni che seguirono furono incredibili. Mi svegliavo con le lacrime agli occhi al solo pensiero di quanto intensa sarebbe stata la giornata che mi aspettava. Lavoravo, andavo in spiaggia, facevo l’amore con Ricky.

Il sesso nella mia vita aveva cambiato tutto, e non riuscivo a credere di aver aspettato fino a quel momento solo per assecondare le mie comode paure. Non ci eravamo preoccupati di definire il nostro rapporto, né di capire esattamente cosa stesse succedendo ad entrambi. Approfittavamo semplicemente di ogni momento che avevamo a disposizione per stare assieme. Imparai da lui tutto quello che mi faceva difetto per inesperienza, e lentamente raggiungemmo una situazione maggiormente equilibrata. Per quanto fossi piû giovane, imparai che a letto non c’erano regole… e che la dedizione totale al piacere dell’altro poteva serenamente essere reciproca.

Con la scusa della vicinanza al mare, ogni venerdî sera mi trasferivo nella casa del mio nuovo “amico”, e passavamo le quarantotto ore successive come due inseparabili. Non era amore, non era amicizia. Era una passione estiva bruciante, che era esplosa nostro malgrado e che ci stava conducendo in direzioni inesplorate. Parlando con Ricky venni a conoscenza delle sue esperienze passate, di come da adolescente avesse scoperto il sesso con un suo coetaneo, e di come avesse poi rinunciato a quel lato della sua sessualità quando aveva conosciuto Loredana. Era stato con lei a lungo, e si era convinto che il sesso tra uomini fosse solo un palliativo. Ma quando, ad anni di distanza le cose tra loro due avevano smesso di funzionare, il desiderio aveva ricominciato a farsi pressante. Desiderio che era rimasto inappagato fino al nostro incontro. E, credo di poterlo affermare con certezza, aveva tutta l’intenzione di recuperare il tempo perso…

Eravamo totalmente disponibili l’uno verso l’altro. Cercavamo di assecondarci senza remore, a volte sfidando anche il buon senso. Il primo che si svegliava la mattina, di solito, raggiungeva il cazzo eretto dell’altro e gli dava il buongiorno con un tenero pompino. Se arrivavo a casa la sera tardi da un impegno privato e lo trovavo già addormentato, o viceversa, non esitavo a spogliarmi ed a infilarmi nel letto, puntando dritto al suo fondoschiena e inculandolo con dolcezza. Non avevo in quei giorni una grande percezione del futuro: volevo solo scopare, e farlo con Ricky era l’unica cosa a cui riuscissi a pensare. Probabilmente la mia passione verso di lui era piû vicina ad una cotta giovanile, laddove lui invece aveva un’immagine già chiara dell’inevitabile evoluzione della nostra storia.

Nel frattempo, il suo lavoro al centro era terminato. Aveva incassato l’assegno ed avevamo già festeggiato a cena, e quegli incontri segreti ed arrapanti davanti alla macchinetta del caffê (perché ce n’erano stati altri, dopo il primo…) erano ormai alle spalle. Dopo aver passato tutto quel tempo a fare straordinari cosî piacevoli, l’idea di tornare alla solita routine lavorativa mi dispiaceva… E dispiaceva anche al mio portafogli. Essere ospitato da Ricky mi pesava, e cercavo di contribuire nei giorni in cui stavo da lui pagando qualche bolletta e facendo la spesa. Essendo perô lui abituato ad uno stipendio ben diverso dal mio, faticavo un po’ a reggere il suo ritmo quando uscivamo assieme.

Anche per questo accettai ben volentieri la proposta di Fabio (il responsabile del negozio), quando mi chiese se volevo assumermi l’impegno dell’inventario. Avrei lavorato un’intera domenica, da solo, ma il compenso sarebbe stato adeguato. Venne cosî quella fatidica domenica di agosto, preceduta da una settimana in cui litigai con Ricky proprio per quel lavoro… Avrebbe voluto passare il weekend fuori (in montagna, se non ricordo male), e non riusciva a capire per quale motivo dovessi lavorare, soprattutto quando era una mia libera scelta… Mi urtava l’insensibilità che dimostrava verso l’argomento denaro, non capendo che un weekend fuori non solo non avrebbe migliorato la mia posizione economica, ma al contrario l’avrebbe messa a dura prova…

Cosî mi ritrovai in una delle domeniche piû calde dell’anno a lavorare completamente solo in un centro commerciale senza aria condizionata… Se per la prima ora finsi di mantenere una compostezza adatta al luogo ed al ruolo, ben presto abbandonai tutti i miei vestiti ritrovandomi a lavorare nei soli boxer. Nonostante questo, continuavo a sudare ed anche molto, dato che il magazzino, con i suoi maledetti lucernari, assomigliava piû ad una sauna che ad un retrobottega. Scavavo in quegli scatoloni dimenticati da dio, ricoprendomi di polvere che si impregnava con il mio sudore, mentre sui miei boxer ormai bagnati si delineava il contorno del mio cazzo, ancora arrabbiato perché ormai da due giorni non otteneva le soddisfazioni a cui l’avevo abituato… Mi chiedevo che senso avesse esplorare quel luogo oscuro in cui nessuno metteva realmente piede, se non obbligato dalla supervisione vigile di Fabio… Ma sapevo che l’inventario andava fatto, ed ero abbastanza furbo da capire che se avessi fatto casini la cosa non sarebbe passata inosservata. Me ne stavo cosî, immerso nel mio sporco lavoro, quando sentii dei rumori lontani, ai quali inizialmente non diedi gran peso. Sapevo che nessuno avrebbe cercato di entrare nel centro: la vigilanza era costante, e tentare di rubare là dentro sarebbe stata fatica inutile, specie di giorno.

Quando sentii qualcosa che assomigliava a dei passi, iniziai a preoccuparmi. Rimasi in ascolto, attendendo l’inevitabile seguito. Dopo cinque minuti perô, non sentendo assolutamente nulla, mi convinsi che si fosse trattato della mia fervida immaginazione e tornai al lavoro. Non capii esattamente cosa accadde dopo, al momento. Solo concluso il tutto compresi che doveva essere entrato dalla mia stessa entrata secondaria, e che probabilmente si era fermato ad ascoltare i rumori proprio come avevo fatto io, nello stesso momento, ma probabilmente aveva avuto piû fortuna di me nell’individuare la mia posizione. Fatto sta che mi ritrovai un braccio sbucato dal nulla che mi bloccava la gola, ed una voce che non riconoscevo che mi gridava di non muovermi. Ero terrorizzato. Se non avessi svuotato la vescica solo mezz’ora prima, probabilmente me la sarei fatta sotto. Capivo che il mio aggressore era piû basso di me da come il suo bicipite pesava sulla mia spalla per stringermi il collo, e forse fisicamente mi sarei anche potuto liberare, ma onestamente l’ipotesi non mi attraversô neppure in quel momento. Rimasi immobile, senza sapere cosa dire o fare. Il mio aggressore sembrava meno intimidito, e prese in mano la situazione. Mi trascinô fino ad una vicina scaffalatura fissata alla parete, quindi cambiô rapidamente presa liberandomi il collo ma bloccandomi il braccio destro dietro la schiena fino a farmi quasi male. Mi lasciai scappare un’espressione di dolore appena percettibile, e lui se ne accorse. Esitô un istante, ma poi strinse ancora di piû, quasi a dimostrare che se voleva poteva farlo. Sentii un paio di suoni metallici che non riconoscevo, quindi una pressione sul polso. Quando mi lasciô e potei voltarmi per osservare la mia mano, mi accorsi che mi aveva ammanettato alla scaffalatura. Solo allora alzai lo sguardo verso il mio aggressore.

Le scarpe lucide, i pantaloni neri, il cinturone alla vita da cui pendeva il manganello a sinistra e la pistola a destra, la camicia blu… e il distintivo. Sopra, un’espressione dura ed un viso che, dietro a quegli occhiali scuri, conoscevo di vista. Era Loris, una delle guardie del centro. Mi squadrô dal basso all’alto, da dietro gli occhiali, senza mutare espressione. "Che cazzo ci fai qui?" Ripresi finalmente l’uso della parola, in tempo per rispondere. "Sto… facendo l’inventario" Loris rimase inflessibile a fissarmi per un istante eterno. Poi un sorriso si fece strada sulla sua faccia. "L’inventario, eh?" "E da quando…" Allungô una delle sue mani verso la mia vita, e infilô un dito sotto l’elastico dei miei boxer, tese la stoffa e quindi rilasciô l’elastico che tornô nella sua posizione originaria. "…bisogna essere in mutande per fare l’inventario?" Divenni rosso per l’imbarazzo. In effetti se avessi anche solo immaginato che potesse arrivare qualcuno non avrei mai osato tanto. Probabilmente i miei incontri con Ricky mi avevano reso meno prudente.

"Fa caldo, specie qua dentro… visto che non c’ero nessuno, ho pensato che non fosse un problema…" Sperando di essere ormai scagionato da ogni sospetto, indicai le manette con lo sguardo. "Potrebbe…?" "Potrei cosa?" Loris sembrô infuriarsi e fece un passo in avanti, incollandosi alla mia faccia. Sentivo il suo respiro sul collo, e la cosa non mi piaceva. "Senti un po’, testa di cazzo. Non so chi sei e non ti ho mai visto in giro, quindi da qui non ti muovi" "Nessuno mi ha avvisato di nessun inventario" "La mia divisa ê di là… c’ê il tesserino con la foto, se non mi crede" Loris continuô a fissarmi, con le narici dilatate in quell’espressione da duro. Senza dire nulla, si allontanô verso l’area vendita, senza togliermi gli occhi di dosso. Sparî dietro la tenda d’accesso, e tornô dopo un paio di minuti. "Andrea, giusto?" Feci cenno di sî col capo. Mi sorrise in modo complice, quindi alzô qualcosa che iniziô a sventolare attirando la mia attenzione. "Questo ti serviva per l’inventario?" Aveva in mano un preservativo di cui mi ero dimenticato l’esistenza, rimasto infilato nel taschino della mia divisa dai miei incontri serali con Ricky. Arrossii di nuovo, e non potei fare altro che abbassare lo sguardo. Qualunque cosa avessi detto, a quel punto, sarebbe risultata inutile.

"Non me la racconti, ragazzino" "Tu sei qua, mezzo nudo, con un goldone nel taschino, a fare l’inventario?" Confuso cercai di trovare le parole per giustificarmi, ma non mi venne in mente nulla. Iniziô a girarmi attorno, squadrandomi dalla testa ai piedi. Quindi si posizionô alle mie spalle, e con una mossa rapida e violenta, mi strappô i boxer. Prima che potessi reagire, mi ritrovai con una sua mano che mi accarezzava il buco. Mi scostai istintivamente, guardandolo stupito. "Ma che…?" Lui mi guardava con un sorriso malizioso, e vidi che si era tolto gli occhiali. I suoi occhietti vispi di quarantenne mi fissavano diabolici. "Prima non ti avevo riconosciuto…" "Le mutande mi avevano confuso" Si portô la mano che mi aveva passato tra le chiappe sudate sotto il naso, ed inspirô profondamente. "Pulito e profumato. Che meraviglia" Continuavo a non capire che diavolo stesse succedendo. Avevo l’impressione di essere stato catapultato in un episodio di “Ai confini della realtà”, o in una versione perversa di “Candid camera”… "Mi lasci andare! Non ha nessun diritto di…" Ero furioso. Il ritrovarmi nudo davanti a quel piccolo arrogante in divisa aveva ormai superato la soglia dell’imbarazzo, e la timidezza aveva lasciato lo spazio all’indignazione. Loris mi stupî ancora una volta.

Mi si scaraventô contro, spingendomi l’avambraccio sinistro sotto il mento mentre la destra aveva raggiunto il mio scroto e lo aveva avvolto in modo deciso. "Senti, coglione, qui le regole le faccio io" Piazzô la sua faccia a qualche centimetro dalla mia, mentre mi spingeva contro lo scaffale al quale ero ammanettato. WSo tutto di te e del tuo amichetto elettricista. Ho visto i numeri che facevate davanti alla macchina del caffê…W Lo guardai sbigottito. Come diavolo poteva averlo scoperto? Loris sembrô leggere la mia espressione stupita. "Le telecamere, frocetto. Questo posto ne ê pieno. Pensavi di poterti fare inculare tutte le sere senza che qualcuno se ne accorgesse?" Rabbrividii nonostante il caldo. Come potevo essere stato cosî stupido? "Ora ci sono due possibilità, pompinaro. Posso andare dal tuo capo con il nastro della sicurezza…" "…Oppure posso darti la cassetta e dimenticarmi di tutto" "Dipende solo da te" Voleva qualcosa da me. E da come la sua mano si era spostata dai miei testicoli per raggiungere nuovamente il mio sedere, iniziavo ad immaginare cosa. "Cosa devo fare?" Loris sembrô soddisfatto dal mio atteggiamento rassegnato. Mollô la presa, fece qualche passo indietro, e mi fissô con il suo solito sorriso. "Quello che sai fare meglio"

Si slacciô il cinturone, facendolo cadere, e sbottonô la chiusura dei pantaloni. Di scatto, come un meccanismo sincronizzato, un cazzo enorme svettô dalla sua patta, puntando dritto al mio petto. Il porco non portava neppure le mutande… Quell’arnese era enorme. Se Ricky era ben fornito, Loris rientrava di diritto nella categoria superdotato. Superava l’unico pene che avessi mai conosciuto di almeno quattro centimetri, ma soprattutto era incredibilmente grosso. Senza rendermene conto, alla vista di quell’arnese ebbi un’istantanea reazione. Me ne vergognai: dentro di me pensavo che anche se avessi ceduto al ricatto di Loris, sarei rimasto fedele a Ricky non provando alcun piacere da quell’esperienza. Ma ora l’unica cosa che volevo era stringere le mie labbra attorno a quella cappella infuocata. Loris si avvicinô, mentre si sbottonava la camicia mettendo in mostra la pancia rotonda. Era uno di quei quarantenni ormai decadenti, che anche se intuiva aver avuto un bel fisico un tempo, aveva immolato il suo corpo al sacro altare della buona forchetta.

Si fermô al limite del mio raggio di azione, costringendomi ad allungarmi al massimo per poter sfiorare con la lingua il suo glande possente. Iniziô a giocherellare, muovendo i fianchi per far sbatacchiare il suo cazzo contro la mia lingua, senza avvicinarsi abbastanza da farmelo succhiare. Intanto tiravo come un ossesso la mano ammanettata per guadagnare centimetri. Non capivo cosa mi stesse succedendo. Stavo con Ricky, avevo tutto quello che potevo desiderare. Ma ora tutto quello che volevo era quel cazzo che sventolava davanti ai miei occhi. Con piccoli passi da pinguino, Loris finalmente si avvicinô e mi infilô con un colpo di fianchi mezza asta in gola, che già faticavo a gestire. Ero disgustato ed eccitato nella stessa misura. Il suo cazzo era incredibilmente sporco. Sentivo il retrogusto di sperma stantio e di urina nei risvolti del suo prepuzio, cosî diverso dal deciso ma pulito odore di maschio del cazzo di Ricky. Sperai che fosse un segaiolo, e non volli osare immaginare in quali altri posti potesse avere già infilato quel batacchio quello stesso giorno…

Loris afferrô con le mani la mia testa e iniziô a mugolare mentre mi scopava la bocca quasi strozzandomi ad ogni colpo, inframezzando i mugolii con ogni tipo di insulto che la sua mente riuscisse a partorire. La mia mano libera, quasi istintivamente, scese prima ad accarezzare le sue piccole palle, quindi continuô lungo la linea della prostata fra le sue cosce, fino a raggiungere il suo culo peloso. Giocherellai con la fessura proibita finché un ceffone mi colpî una tempia, costringendomi a riportare la mia attenzione sulla faccia di Loris. "Non fare scherzi, cazzone! L’unico rotto in culo qui sei tu" Abbandonai quindi ogni intraprendenza, e riportai la mano sulla sua asta per alleggerire lo sforzo che la mia bocca stava compiendo. Dopo una cavalcata costante di qualche minuto, Loris iniziô a rallentare ed ad intensificare i colpi. Non volevo che mi venisse in bocca, e probabilmente non lo voleva neppure lui. Senza dire una parola levô il cazzo dalla mia bocca, e gli diede qualche colpo delicato davanti alla mia faccia. Intuivo ciô che stava per accadere, quindi raccolsi il preservativo che era caduto accanto a me, e glielo porsi. Lui lo prese e mi sorrise nuovamente con quell’aria saccente. "Questo, frocetto? Puô andare per la checca del tuo amichetto, non per quelli come me"

Frugô il taschino della sua camicia aperta, e ne tirô fuori un preservativo con incise sulla confezione le lettere XXL. Se lo infilô, e solo in quel momento compresi cosa sarebbe significato avere quella cosa dentro di me. Iniziai ad agitarmi, ma prima che potessi protestare Loris mi afferrô il braccio non incatenato e me lo piegô dietro la schiena, mi ordinô di piegare le ginocchia e senza alcuna lubrificazione mi puntô quel cazzo enorme sulla fessura. Con un solo colpo mi fu dentro, costringendomi ad urlare in modo lancinante per il dolore. Iniziô a scoparmi con violenza e costanza, dando colpi possenti che letteralmente mi sollevavano da terra. Era un vero e proprio toro, e nonostante l’apparente mancanza di muscoli, nascondeva un vigore fisico che non avrei mai sospettato. L’esperienza era decisamente dolorosa, ma nonostante questo l’addestramento che avevo fatto con Ricky del sesso anale mi aiutô a superare l’ansia fino a rilassarmi, iniziando quindi a godere di come quella cappella rigonfia accarezzasse la mia prostata nel suo andirivieni. La posizione non era perô delle piû comode, e Loris iniziô a soffrirne. Non volendosi fermare proprio sul piû bello, si appoggiô sullo scaffale dopo avermi liberato il braccio, e quindi rinunciô alle sue poderose inculate lasciando a me il compito di muovermi sul suo cazzo, assecondando l’abile guida delle sue mani sui miei fianchi. Oltre ad avere un cazzo enorme, Loris ci sapeva decisamente fare: scopava con decisione e precisione, muovendosi in modo efficace e controllando ogni momento della cavalcata. Sentii i suoi mugolii crescere d’intensità e le sue mani aumentare la presa sui fianchi, cosî mi fermai. Loris uscî dal mio sedere incandescente e si tolse il preservativo. Afferrô le mie chiappe e vi infilô in mezzo la sua cappella, iniziando a strofinarla contro il mio osso sacro. Dopo pochi movimenti venne, intensamente e a lungo, innondandomi la schiena con il suo seme maturo. La sensazione era tanto eccitante che venni insieme a lui, sfiorandomi appena. Restô lî, ansimando, per degli istanti eterni, quindi mi diede un ceffone sul sedere come a ordinarmi di spostarmi. Si pulî il cazzo grondante con quello che restava dei miei boxer, quindi si rivestî e si allontanô senza dire una parola.

Ritornô qualche minuto dopo con la cassetta che mi aveva promesso, mi tolse le manette e mi portô la mia divisa perché potessi rivestirmi. Tutto senza mai guardarmi o dirmi una parola. Sembrava quasi imbarazzato, completamente diverso dall’uomo che qualche minuto prima mi aveva selvaggiamente scopato, come se provasse vergogna per quanto era accaduto. Se ne andô non appena ebbi finito di vestirmi, ma si fermô sulla soglia e senza voltarsi mi rivolse di nuovo la parola. "Ricordati di chiudere la porta quando esci" Non dissi nulla, ancora incapace di trovare un senso in tutto quello che era accaduto. Finii l’inventario e quindi raccolsi la cassetta mentre mi apprestavo ad uscire. Aprii la custodia e vi trovai, assieme al nastro, un piccolo biglietto. “Una parola con qualcuno e sei morto. P.S.: chiamami se ti va di rifarlo” Seguito dal suo numero di cellulare. Sorrisi per l’ennesima contraddizione di quella giornata assurda, quindi quella stessa sera chiamai Ricky e mi riappacificai con lui. Non gli dissi nulla di quanto era successo, ma dentro di me sapevo che qualcosa era cambiato. Il giorno dopo, quando tornai al lavoro, il responsabile del negozio mi chiamô nel suo ufficio. "Ciao Andrea. Ti devo parlare…"


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